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La storia di Animaimpresa nella cover story del numero di maggio

Nell’intervista a cura di Rossano Cattivello, la nostra fondatrice Gigliola Piccolo racconta il percorso che ha portato alla creazione di Animaimpresa, nel 2010.

“Spesso, soprattutto all’inizio, il nome Animaimpresa faceva pensare a qualcosa che non aveva nulla a che fare con la parola ‘profitto’. Quanto si sbagliavano! E sì che avevano tutti la consapevolezza che l’azienda era fatta anche di beni immateriali, che l’azienda aveva una propria ‘anima’.”

Nel suo racconto, emergono episodi e visioni che hanno orientato l’evoluzione di Animaimpresa, permettendoci di consolidare relazioni e alimentare lo sviluppo sostenibile del territorio, tanto da venire riconosciuti e valorizzati come esempio anche a livello nazionale.

“Siamo cresciuti, assieme alle aziende socie, impegnandoci  nella ricerca e nella divulgazione. A Milano, al Salone della Csr e dell’innovazione sociale, il più importante evento nazionale in questo ambito, la nostra Animaimpresa è ritenuta un faro e, sempre di più, suggerisce e stimola gli approfondimenti che vengono trattati annualmente” E ancora: “Non siamo più un nucleo ristretto di imprenditori e professionisti lungimiranti, ma un aggregatore riconosciuto di tante aziende che hanno compreso l’importanza strategica della sostenibilità”.

Di seguito, un estratto dell’articolo pubblicato su Il Friuli Business – maggio 2024

Neanche l’ictus l’ha fermata. Da donna in  carriera in un mondo dominato dai maschi, Gigliola Piccolo è stata una delle prime a portare in Friuli concetti quali la sostenibilità, la responsabilità sociale di impresa, il bilancio sociale… Per poi nel 2010 dare vita a un’associazione, Animaimpresa, che punta a diffondere una nuova cultura tra le aziende. Oggi sono un centinaio quelle iscritte, a cui si aggiungono una cinquantina di persone fisiche, tra cui una ventina di giovani. Lei è originaria di Mestrino, nel Padovano, nata nel 1949, ma trasferitasi a Udine alla fine degli Anni ‘90.

Come è nata l’idea di creare Animaimpresa?

“Parte da lontano. A 33 anni mi sono trovata dirigente d’azienda in un’impresa metalmeccanica che, al tempo, era costituita da oltre 250 persone di sesso maschile. Con tanta determinazione e, soprattutto, con tanta passione, ho portato avanti il mio lavoro commerciale, sviluppato poi anche in altre aziende, in Italia e all’estero, ricevendo in cambio l’apprezzamento di coloro con i quali operavo, prima di tutto i miei colleghi. È da lì che ho capito l’importanza del benessere aziendale, che si espande a macchia d’olio per far diventare tutto più piacevole, più innovativo, più motivante e aggregante, un bene davvero comune”.

Come è passata dall’idea ai fatti?

“Col tempo, mi accorgevo come le cose stessero cambiando con estrema velocità: il nostro sistema produttivo, organizzativo, di relazione e di comunicazione, via via, veniva stravolto. Mi sono appassionata a capirne di più tramite le riflessioni sulla ‘complessità’ di Edgar Morin, uno straordinario filosofo e sociologo francese, e di Mario Rasetti, professore di Fisica teorica del Politecnico di Torino.
Una lectio magistralis di quest’ultimo, a Venezia, mi ha folgorato.
Ma non bastava. Nel confrontarmi quotidianamente con le aziende del territorio, mi resi conto che mancava ancora un’attenzione della massima importanza: la sensibilità per la responsabilità sociale d’impresa (Corporate Social Responsibility).
Eravamo nell’anno 2009 e si respirava, ovunque, un senso di disfatta.
Ho iniziato a parlarne con amici, ma la maggior parte degli imprenditori non capiva cosa intendessi  per Csr e per sostenibilità. Così, dopo ulteriori approfondimenti e varie discussioni, a maggio del 2010 demmo vita all’associazione Animaimpresa e io ne ero presidente”.

Cosa è diventata nel tempo questa vostra associazione?

“Spesso, soprattutto all’inizio, il nome Animaimpresa faceva pensare a qualcosa che non aveva nulla a che fare con la parola ‘profitto’. Quanto si sbagliavano! E sì che avevano tutti la consapevolezza che l’azienda era fatta anche di beni immateriali, che l’azienda aveva una propria ‘anima’. Il tempo a disposizione, però, consentiva a mala pena di produrre beni e servizi senza dover pensare ad altro. Noi ci impegnammo, con molti incontri, pubblici e nelle varie aziende, a far capire che, se non avessimo cambiato rotta, per molte aziende sarebbe stata una mera sopravvivenza e, per alcune, la fine”.

Articolo completo in edicola, Friuli Business – Maggio 2024

 

Servizio a cura di Rossano Cattivello | Fotografie di Studio Scognamiglio