Dof Consulting è una società storica del nostro network che unisce esperienze, competenze e prospettive diverse per accompagnare il cambiamento nelle organizzazioni. Abbiamo intervistato il CEO Alessandro Rinaldi.
Ci descrivete brevemente la vostra organizzazione?
DOF Consulting è una realtà nata nel 1997 con una vocazione precisa: accompagnare persone e organizzazioni nei loro processi di trasformazione. Non siamo una società di consulenza nel senso classico del termine. Piuttosto, ci sentiamo un laboratorio vivente, un cantiere permanente dove ricerca, esperienza e immaginazione si intrecciano per costruire nuovi modi di abitare il lavoro.
La nostra missione è generare consapevolezza e strumenti per ridare al lavoro il suo valore più autentico: non solo produzione di risultati, ma esperienza di comunità, di crescita reciproca, di benessere condiviso. In oltre venticinque anni abbiamo visto che i modelli organizzativi tradizionali non sono più sufficienti a rispondere alla complessità. Servono nuove mappe e nuove pratiche: più orizzontali, più partecipative, più capaci di restituire senso e appartenenza.
Ci definiamo artigiani del cambiamento perché, come gli artigiani, lavoriamo con cura, attenzione al dettaglio e rispetto per la materia viva con cui abbiamo a che fare: le persone e le loro relazioni. Ogni progetto è unico, ogni organizzazione è un ecosistema da esplorare e da nutrire. Per questo il nostro lavoro oscilla costantemente tra l’intuizione visionaria e l’operatività concreta.
Cos’è per voi la sostenibilità, come viene declinata nella vostra realtà?
Quando parliamo di sostenibilità, non pensiamo a un concetto da aggiungere all’agenda delle aziende come un capitolo in più, ma a un principio fondativo che deve attraversare l’intero modo di fare impresa. Per noi sostenibilità significa prima di tutto relazione: tra le persone, con i territori, con l’ambiente, ma anche con il tempo. È la capacità di costruire oggi senza sottrarre futuro, anzi rigenerandolo.
Decliniamo questo principio soprattutto nella dimensione organizzativa. Molte imprese, negli anni, hanno sviluppato la capacità di produrre ricchezza ma hanno smarrito la capacità di generare benessere. Hanno moltiplicato processi, ma frammentato legami. Per noi la sostenibilità è l’opposto di questa frammentazione: è ricomposizione. È rimettere insieme ciò che è stato separato – lavoro e significato, impresa e scopo, individuo e comunità – perché solo nella loro integrazione c’è futuro.
Lo facciamo proponendo modelli organizzativi che non riproducono la logica piramidale, ma quella reticolare; che non si basano sulla colonizzazione delle risorse, ma sulla simbiosi. La mia formazione antropologica mi ha insegnato che le comunità più resilienti che l’umanità abbia conosciuto sono i villaggi: luoghi dove le risorse vengono condivise, dove le decisioni si prendono insieme, dove ciascuno ha un ruolo riconosciuto e il bene del singolo non è mai disgiunto da quello collettivo. Portare questa logica nel cuore delle imprese significa renderle più sostenibili, non a parole, ma nei fatti.
Vi è qualche iniziativa specifica di cui volete parlarci?
Tre esperienze, in particolare, incarnano il nostro modo di intendere l’impatto sociale.
La prima è Dmav | Dalla maschera al volto, un progetto che intreccia arte, comunità e impresa. Con Dmav utilizziamo linguaggi artistici e simbolici per attivare processi di consapevolezza collettiva: nelle scuole, nelle aziende, nei territori. L’arte diventa un catalizzatore di dialogo, capace di ridare voce a chi spesso non ce l’ha e di generare appartenenza in comunità frammentate. In questi anni abbiamo visto giovani, cittadini, professionisti e imprenditori riscoprire insieme la forza trasformativa del “fare con gli altri”. È un modo per coltivare futuro, rigenerando immaginari condivisi.
La seconda è Decentral, un ecosistema di imprese che nasce come risposta alle crisi del nostro tempo. Non un semplice consorzio, ma un villaggio inter-organizzativo. Qui non ci sono strutture da difendere o gerarchie da mantenere, ma una rete di relazioni fondate su autonomia, trasparenza, cura e impatto. È un esperimento concreto di come le imprese possano collaborare non per massimizzare il dominio, ma per favorire l’evoluzione.
Decentral è già operativo: con una governance distribuita, rituali di cooperazione, microimprese che condividono progetti e valore. È la prova che un altro modo di fare impresa è possibile, purché lo si voglia praticare insieme. In fondo, Dmav, Casa Elvine e Decentral condividono la stessa radice: riportare al centro la comunità e ricordare che il lavoro, se vuole essere sostenibile, deve tornare a essere un gesto generativo, capace di ricreare legami e futuro.
La terza è il nostro impegno con Casa Elvine, la casa famiglia sostenuta dal lavoro di Fondazione Villa Russiz, dove abbiamo accompagnato la creazione del Manifesto educativo. Per noi questo è un esempio concreto di come la consulenza possa diventare servizio, restituendo valore non solo alle organizzazioni, ma anche a chi opera nei contesti più delicati.
Perché ritenete importante far parte di un network come Animaimpresa?
Viviamo in un tempo in cui la complessità è diventata la nostra condizione permanente. Davanti a sfide globali – ambientali, sociali, relazionali – nessuna organizzazione può più illudersi di bastare a sé stessa. L’epoca dell’autosufficienza è finita. Ora ciò che conta è la capacità di costruire alleanze, di tessere reti, di condividere saperi ed esperienze.
Per questo essere parte di Animaimpresa è per noi una scelta naturale. È un luogo dove realtà diverse possono incontrarsi e riconoscersi in un intento comune: ridare all’impresa una dimensione di responsabilità, di cura e di impatto positivo. Far parte di questo network significa avere accesso a un contesto di apprendimento reciproco, dove il confronto arricchisce e accelera la trasformazione.
In fondo, comunità come Animaimpresa incarnano l’idea che la sostenibilità non sia mai un percorso individuale, ma sempre un gesto collettivo. Da soli possiamo innovare, ma insieme possiamo davvero cambiare paradigma. E questo, oggi, ci sembra non solo importante, ma necessario.













